Che cos’è la plusvalenza?
Si crea plusvalenza quando un immobile viene acquistato ad un dato prezzo e viene venduto, nei cinque anni successivi, ad un prezzo superiore.
Questa differenza di valore viene tassata dalla Stato e può essere pagata tramite tassazione IRPEF in base allo scaglione IRPEF di chi vende in sede di denuncia dei redditi oppure può essere riconosciuta con imposta sostitutiva del 26%, direttamente in sede di atto notarile quando si sta vendendo il bene.
Esempio pratico per capirci subito: acquisto un bilocale a 150.000 euro, dopo 3 anni lo rivendo a 200.000 euro. Ho avuto un guadagno di 50.000 euro. Questa plusvalenza può essere soggetta a tassazione IRPEF oppure, durante la vendita, pago l’imposta sostitutiva del 26 % al notaio, quindi la mia plusvalenza è pari a 13.000 €.
Quali spese inserire per diminuire la plusvalenza?
Per poter diminuire la plusvalenza, c’è la possibilità di inserire tutte le spese e i costi sostenuti per quell’immobile.
Alcune spese sono:
– Le spese notarili sostenute allatto di acquisto, imposte comprese (imposta di registro, ipotecaria, catastale e IVA)
– Le spese per ristrutturazione o manutenzione straordinaria;
– le spese di intermediazione, nel caso in cui l’acquisto fosse avvenuto tramite agenzia immobiliare
Quando non si paga la plusvalenza?
C’è un caso in cui non bisogna pagare la plusvalenza nonostante si sia avuto un guadagno derivante dalla vendita del bene e nonostante non siano ancora trascorsi 5 anni tra l’acquisto e la vendita.
E’ il caso in cui l’immobile sia stato utilizzato per la maggior parte del tempo ( tempo intercorso tra acquisto e vendita) come abitazione principale dal cedente o dai suoi familiari.
Cosa si intende per abitazione principale?
L’abitazione principale è quel luogo dove ho dimorato per la maggior parte del tempo e posso dare prova di ciò attraverso la residenza, con l’esibizione delle utenze, con la domiciliazione di conto correnti bancari, etc…